L’internazionalismo non è un fatto storico, o una strategia da applicare solo quando se ne ha bisogno. L’internazionalismo è il presupposto di ogni agire politico, un elemento inscritto nel Dna di ogni gruppo, collettivo, movimento, e di ogni persona che si professa antifascista.
Questo perché, purtroppo, il rischio della deriva fascista, dell’autoritarismo come forma di pensiero e di tutela dei più forti, è qualcosa da sempre presente nelle nostre società anche solo a livello latente. Lo vediamo, da una prospettiva globale, pure in questo momento: dal regime para-dittatoriale del Brasile di Jair Bolsonaro al “nuovo sultanato” della Turchia di Erdogan, dalle strette censorie e anti-migranti di Orban in Ungheria alle politiche ultra-tradizionaliste del PiS polacco fino al “ritorno” dei talebani in Afghanistan…
Cosa vuol dire essere antifascisti oggi? Come è possibile declinare questo termine, questo orizzonte politico, nei differenti contesti socio-geografici? E ancora – pensando anche alle difficoltà di mobilità e spostamento imposte dalla pandemia di Covid-19 – in che modo si può dare forma a collaborazioni militanti a cavallo fra i diversi paesi europei e non?
È quantomai urgente porsi queste domande, sia a partire da una “tradizione storica” che ha fatto dell’internazionalismo e dell’antifascismo le proprie bandiere sia provando a fare i conti con le “forze in campo” che abbiamo a disposizione oggi. Vogliamo farlo riunendo a un tavolo di discussione storici, intellettuali e soggetti militanti proveniente da diverse esperienze e diverse zone del mondo, ponendo al centro del dibattito un semplice interrogativo: «Non avevamo detto mai più?».
Con:
Bálint Jósa (attivista, United)
Augusto Illuminati (filosofo)
delegazione curda
Diykto (Grecia)
Berlin migrant strikers (Germania)
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